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Quando si parla di flussi piroclastici vengono in mente due immagini terrificanti: il Vesuvio e il vulcano Nevado del Ruiz, in Colombia. Se del primo, e della eruzione che seppellì Pompei, abbiamo solo cronache scritte nell’antichità, il secondo eruttò nel 1985 e il mondo assistette in diretta alla morte di 23.000 persone! La differenza tra i due vulcani sta nel fatto che il Vesuvio causò il disastro con dei flussi piroclastici, mentre il Nevado del Ruiz scatenò una valanga di fango “a causa” dei flussi piroclastici. Ma cosa sono esattamente? Cosa si intende quando diciamo “flussi piroclastici”? E il nostro vulcano, l’Etna, può provocarli?

Cosa sono i flussi piroclastici

Il termine flusso piroclastico – o colata piroclastica – indica una grande quantità di materiale bollente che scivola ad altissima velocità lungo i fianchi di un vulcano. Si differenzia dalla colata di lava, che è più densa e spesso più lenta, anche se può contenere in sé parti magmatiche. Di solito è il risultato di una frana oppure del collasso di una colonna eruttiva e trasporta  anche cenere, terra, gas e frammenti di materiale roccioso.

Un flusso piroclastico precede una colata di lava ma a volte può avvenire anche durante un’eruzione, ad esempio se crolla parte di un cratere o se la lava incontra cumuli di ghiaccio e di neve. Quando è il risultato di una frana trascina a valle molto materiale pesante. Se invece è una nube vulcanica che collassa per mancanza di vento causa la ricaduta di materiali più fine, ma ugualmente pericoloso per chi si trova negli immediati dintorni.

Un flusso piroclastico può viaggiare tra 50 e 700 km orari e portare dentro di sé temperature che variano da 500 a quasi 1000 gradi! Trovare scampo è quasi impossibile, per questo è importante prevedere e prevenire questi eventi nei dintorni dei vulcani densamente abitati.

flusso pir 002Flussi piroclastici nella storia

Il flusso piroclastico più famoso del mondo fu quello causato dall’eruzione del Vesuvio del 79 dopo Cristo,  che cancellò Pompei, Ercolano e altri paesi pedemontani. In quel caso il risveglio del vulcano avvenne dopo secoli e saltò in aria buona parte della copertura lavica della cima. La colonna di cenere, gas e lava si alzò fino a 33 km e quindi, per assenza di venti, crollò su se stessa investendo in pieno l’abitato. Dopo questo evento, il Vesuvio emise flussi piroclastici anche nel XVII secolo e nel corso del XX secolo (1906 e 1944) con danni minori rispetto a Pompei ma comunque con conseguenze mortali per chi si trovava vicino al cono.

Nel 1980 fu un vulcano americano quiescente da secoli, il Saint Helens (Stati Uniti), a risvegliarsi. Aveva lanciato segnali ben precisi da tempo per cui gran parte della regione era stata evacuata. Tuttavia fece molte vittime ugualmente, perché nessuno aveva previsto l’esplosione che spaccò un intero fianco della montagna. I flussi piroclastici causarono lo scioglimento dei ghiacci e si trasformarono in una colata di fanghi bollenti (lahar), altrettanto distruttivi. Una cosa simile successe nel 1985 in Colombia, con l’eruzione del Nevado del Ruiz che cancellò almeno tre città.

Nel 1991 il protagonista di flussi piroclastici distruttivi fu il vulcano Piñatubo nelle Filippine. I tanti segnali di preavviso avevano consentito di evacuare per tempo la popolazione ma la devastazione lasciata dalle velocissime colate di cenere ardente segnò comunque il territorio dell’isola. Molti altri esempi di questi fenomeni si sono registrati nella storia, e vengono raccontati con competenza e ricchezza di dettagli dal blog IL VULCANICO.  

Per quanto riguarda l’Etna

Per quanto riguarda l’Etna, sì, anche il nostro vulcano emette flussi piroclastici. La “fortuna” rispetto agli altri esempi qui riportati è che i centri abitati si trovano molto lontano rispetto ai crateri principali. L’Etna può emettere nubi vulcaniche altissime, le quali possono anche collassare negli immediati dintorni, ma non esistono case né strutture alberghiere a ridosso dei crateri. I paesi più vicini si trovano ai piedi del vulcano, protetti spesso da vallate profonde e da coni avventizi millenari.

Il pericolo però rimane alto, specie per i turisti che si avventurano in cima o per le guide alpine che spesso salgono, anche per piacere personale, oltre le quote di sicurezza consentite. Ma l’Etna è un vulcano monitorato in ogni suo movimento, da qualsiasi versante. I segnali di un evento eruttivo vengono comunicati con largo anticipo e, grazie alle nuove tecnologie, anche la direzione e la forza dei venti sono costantemente sotto controllo. Una guida esperta saprà che, con i venti che soffiano da nord, non si deve ammirare un’eruzione stando sul lato sud. E viceversa.

Di recente, il cratere di Sud Est – il più giovane dei cinque attivi sommitali – è stato protagonista di parossismi importanti che lo hanno prima innalzato notevolmente e poi fatto crollare. Nella foto sopra il titolo potete vedere un flusso piroclastico generato da questi crolli, ormai raffreddato.

(FOTO DI GRAZIA MUSUMECI)


Autore: Grazia Musumeci